Giovedì 22 Agosto all’Agriturismo Locanda Antiche Macine (presso Santarcangelo di Romagna) si è svolta una serata di convivialità e testimonianze, con tante persone che vivono con passione la dimensione missionaria della fede e si impegnano in vari modi a sostenere presenze in alcuni paesi del mondo. Oltre agli amici di Orizzonti erano presenti, tra gli altri, la Fraternità dell’Uganda, i responsabili dell’Associazione Pro Terra Sancta, numerosi rappresentanti della Fraternità San Carlo, e poi ancora giornalisti di Tempi, il coordinatore del gruppo Nazarat e molti altri.
Segue la trascrizione delle testimonianze.
Esiste una rete informale di persone e gruppi che vivono con una intensa passione missionaria e si impegnano, in modi molto vari, a sostenere presenze in alcuni paesi del mondo
Il gesto della cena del 22 agosto 2024 è espressione di questa realtà viva e dinamica. Hanno partecipato:
- La Fraternità dell’Uganda con Giorgio Taglietti e i suoi amici
- Pro Terra Sancta con Tommaso Saltini Direttore e Andrea Avveduto
- Fraternità san Carlo: Don Sandro Bonicalzi, don Valerio Valeri, Seminaristi Carlo Quattri e Alessandro Milanesi, Suor Eleonora Ceresoli
- Confraternita con Enrico Tiozzo
- Coordinamento per il Venezuela con Monica Poletto
- CdO sociale con Stefano Gheno
- TEMPI con Rodolfo Casadei e Leone Grotti
- Amici di Enzo (Piccinini) con Anna
- Gruppi Nazarat col coordinatore Marco Ferrini
MARCO FERRINI – COMITATO NAZARAT
Arturo Alberti Proprio in questi giorni è arrivato, firmato di suo pugno da papa Francesco, un messaggio di incoraggiamento e sostegno all’iniziativa che invita a radunarsi e pregare, il 20 di ogni mese, per i cristiani perseguitati. Stesso apprezzamento dal Cardinale Pizzaballa, da altri vescovi e patriarchi del Medio Oriente e dell’Africa e da Davide Prosperi.
Succedeva che tra il 6 e il 7 di Agosto del 2014 l’Isis invadeva Mossul nella piana di Ninive e circa 5000 cristiani fuggivano da quei luoghi. Allora con un gruppo di amici di Rimini, interrogati da questa drammatica situazione, tentammo di dare un giudizio e di capire che cosa potevamo fare. Così è nata l’idea di andare a pregare in piazza per i nostri fratelli perseguitati e, proprio da dieci anni, dura questa iniziativa (ormai ripetuta 120 volte). L’ idea era stata anche condivisa con Arturo, con cui c’è un’amicizia pluriennale, e anche con lui ci eravamo interrogati sul che fare, per poi decidere di fare qualcosa di pubblico, nelle piazze delle nostre città.
Con l’anniversario dei 10 anni abbiamo chiesto una benedizione al papa, aspettandoci magari un riscontro tramite cardinal Parolin o altri, e invece è arrivato un bellissimo messaggio ad hoc con la firma autografa del papa, e questo ovviamente ci ha fatto molto contenti perché è stato riconosciuto un lavoro e una presenza costante di un popolo che va nelle piazze, e non solo dentro le chiese, a pregare per i perseguitati. È la Chiesa in uscita che più volte papa Francesco ha sottolineato. In seguito la preghiera si è diffusa quasi per osmosi, senza nessuna programmazione, in diverse altre città italiane e anche all’estero, come pure in alcuni monasteri di clausura.
Il papa ci ha invitato a perseverare in questa iniziativa, un popolo cristiano che si riunisce nelle piazze. E oltre ai messaggi del cardinal Pizzaballa [allora Custode di Terra Santa]e a diverse autorità religiose delle Chiese di Terra Santa, Davide Prosperi ci ha mandato un messaggio, di cui citerò solo un passaggio tratto dal libro di don Giussani “Una rivoluzione di sé” che mi sembra più attinente a questa sera: “ E’ attraverso me, te, è attraverso me in quanto unito a te in nome Suo, cioè in quanto uniti a Lui, in quanto attraverso noi e attraverso la nostra unità, che la morte e la risurrezione di Cristo investono il mondo. Non dobbiamo smarrirci o come dire stupirci perché ci perseguiteranno sempre. Il potere, di qualunque natura sia, perseguiterà sempre, è legge della storia. Come dice san Paolo in un altro bellissimo brano: “Perseguitati, riviviamo, sempre schiacciati e sempre vivi.”
SUOR ELEONORA CERESOLI (FRATERNITA’ SAN CARLO) – KENYA
Arturo Alberti “Nonostante la differenza culturale e le barriere linguistiche i dialoghi tra noi si fanno ogni settimana più intensi. Abbiamo discusso per mesi dei 10 comandamenti ed ora siamo passati alle Beatitudini” (Fraternità e Missione di Agosto 24)
Sono in Kenya da 2 anni e mi occupo di un gruppo di mamme con bambini disabili chiamato UJACHILIE, che è la traduzione in Swahili della canzone di Chieffo “Lasciati fare”. Ci incontriamo al mattino con le mamme dei bambini con vari gradi di disabilità, alcuni anche molto gravi. Prima diciamo il Rosario in chiesa, poi facciamo un po’ di canti per creare un clima di amicizia, e poi ci dividiamo. Due delle mie consorelle insieme a dei volontari si prendono cura dei bambini e li fanno giocare, alcuni hanno bisogno di essere tenuti in braccio perché non hanno mobilità.
Io invece sto con le mamme, e sono momenti molto belli e veri, con persone nuove ogni volta perché le mamme si invitano tra loro, superando così lo stigma che a Nairobi è ancora molto presente riguardo alla disabilità, vista come una maledizione di Dio (di solito i bambini vengono tenuti nascosti dentro le case). Invece adesso si dice che c’è un posto dove i bambini possono essere visti, e così cominciano a venire con i loro bambini avvolti in lenzuoli sopra le spalle, e piano piano li scoprono, non hanno più vergogna a farli vedere in giro.
Con queste mamme tocchiamo molti temi. Quasi nessuna di loro è cattolica, molte sono protestanti o di varie sette, per cui ho deciso di iniziare dai 10 Comandamenti. Sono emerse tantissime domande, sia sul rapporto coniugale – quasi tutte sono state abbandonate dai loro uomini nel momento in cui è stata scoperta la disabilità dei figli – oppure sul tema dell’aborto (anche se molte di loro sono donne coraggiose che hanno tenuto i loro figli, solo alcune l’hanno scoperto dopo la nascita).
Io parlo in inglese, sono anche studentessa di seconda elementare, nel senso che vado con i bambini, siedo con i bambini, imparo lo swahili, però intanto parlo in inglese, e dunque i bambini si devono tradurre a vicenda per sapere cosa sto dicendo… però dalle domande che ricevo capisco che qualcosa stanno capendo.
L’altra cosa bella è che con il nostro ospedaletto di quartiere riusciamo a offrire cure, speech therapy, una diagnosi fatta bene (molto rara tra loro) e i medicinali adeguati. Anche grazie a Orizzonti noi possiamo coprire spese anche importanti di mamme che vengono spesso da quartieri molto poveri, e quindi grazie, grazie, grazie.
TOMMASO SALTINI – direttore PRO-TERRA SANCTA
Arturo Alberti Qualcosa di cui giornali e tv non parlano mai, come vivono i cristiani questa situazione drammatica in cui si trovano?
Terra Sancta è una ONG nata nel 2006. Sono stato il primo nell’amicizia con Padre Pizzaballa (allora Custode di Terra Santa) che aveva già conosciuto alcuni del Movimento e di Avsi e chiese aiuto per far partire una realtà laica che aiutasse a sviluppare progetti nella regione. Occorre ricordare che per Terra Santa non si intende solo Israele e Palestina, attualmente questa terra è piena di confini, che in realtà storicamente non sono mai esistiti, anche se oggi ci sono e bisogna tenerne conto. In realtà si tratta di un’area unita, e la Chiesa, e i frati in particolare, continuano a guardare tutta l’area in modo unitario.
Anche noi, che ci muoviamo sulla scia dei Francescani, e di tutta la Chiesa, siamo presenti in Israele, Palestina, Giordania, Egitto, Gaza, Siria, Libano, Cipro e, ripercorrendo i viaggi di Paolo e Barnaba, anche Turchia, Grecia (fino a Roma). In effetti siamo presenti anche in Grecia, nelle isole di Rodi e Kos, dove la Custodia mantiene un presidio in continuità con la presenza dei Crociati, quando si ritirarono da Gerusalemme e da Acri per arrivare a Rodi, e poi furono esiliati a Malta, dove scomparirono.
Per venire alla domanda iniziale sulla situazione attuale, come ci ricorda sempre il cardinal Pizzaballa, i cristiani sono parte di diversi popoli, quindi oggi, come ricordato dal Cardinale nell’incontro inaugurale del Meeting, la piccola comunità cristiana di Israele e Palestina è presente in tante situazioni diverse. A Gaza ci sono cristiani arabi a tutti gli effetti, e ci sono cristiani in Cisgiordania e in Israele, anche arruolati a svolgere il servizio militare nell’esercito. È una situazione molto complessa, in quanto il cristiano è chiamato a vivere da cristiano nella situazione in cui si trova.
Spesso ci si chiede quale sia il compito dei cristiani in Terra Santa. Oggi la situazione è talmente tragica che non si può dire qual è il loro compito specifico se non essere uomini e, forse, ascoltare, almeno questa è la cosa più vera che mi pare di poter dire considerando la mia esperienza. Sicuramente a partire da coloro che hanno più responsabilità nella Chiesa e tra i religiosi, ma anche il cristiano del popolo è forse quello che è più capace di ascoltare questi mondi che fanno tanta fatica a parlarsi e che hanno tante ferite. Chi è convinto di essere dalla parte giusta, e anche in nome di questo fa il male, alla fine soffre tantissimo, anche se non lo fa vedere. Noi abbiamo saputo, anche attraverso preti che fanno una pastorale di ascolto, di ragazzi israeliani che sono disperati per quello che comunque gli è toccato fare e vivere.
Arturo Alberti Ci diceva padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia di Gaza, che l’esperienza drammatica che hanno fatto si è svolta comunque dentro una consapevolezza di fede molto grande.
Sì, è vero, anche nel bisogno c’è la libertà di abbracciare l’altro. Ci sono anche i mussulmani a cui ho visto fare atti di carità molto belli ma il cristiano oggi è quello che abbraccia tutti. E quindi questa piccola parrocchia di Gaza effettivamente è un punto di incontro fra cristiani diversi, ortodossi, armeni e mussulmani, un centro di aiuto e di speranza per tutti.
MARCO ALBERTI – AMBASCIATORE ITALIANO IN KAZAKISTAN
Vorrei ringraziare tutti i presenti per l’amicizia che dimostrate, essendo qui, a mio padre. Credo che abbiamo in comune nei suoi confronti la gratitudine per la testimonianza che dà. Oggi al Meeting, in una delle mostre, ho letto una frase che diceva: “Bisogna credere come bambini e agire come uomini”. Mi sembra una sintesi molto bella di quello che ha fatto e sta facendo mio padre. Voglio ringraziare voi, mio padre, mia madre che oggi non c’è ma comunque ha reso possibile questa storia. Come figlio vorrei ringraziare mio padre perché per fare quello che ha fatto bisogna non essere soli, e questa è un po’ l’essenza dell’amicizia e della fede. Lo ringrazio perché è riuscito a lasciarci liberi senza lasciarci soli, non è facile.
E le storie più belle sono quelle che creano storie, come questa cena è una piccola storia. Vorrei augurare a tutti noi di essere capaci di creare storie che creano storie.
CARLO QUATTRI – Seminarista della FRATERNITA’ SAN CARLO in MESSICO
Sono appena tornato da un anno di missione a Città del Messico e devo dire che la cosa più bella del Messico, di per sé bellissimo, è il popolo messicano, e la semplicità della sua fede. Ho visto tante persone tornare alla fede dopo molto tempo (il Messico ha una forte tradizione cattolica ma ha avuto tanti problemi politici che lo hanno reso un paese dalle istituzioni fortemente anticlericali). In Messico si vive un forte contrasto, sono tutti guada lupiani [devoti alla Madonna di Guadalupe, immagine miracolosa fondante dell’identità messicana], ma al contempo le istituzioni sono completamente anticlericali. Poi vedi in tutte le auto crocifissi e rosari, immagini della Vergine… Io direi che l’identità del messicano ha a che fare con la Vergine di Guadalupe perché di fatto il Messico è nato 10 anni prima che la Vergine apparisse [1531].
Per esemplificare quello che intendo per semplicità vi racconterò una storia. A novembre il parroco, Davide, mi chiede di preparare ai sacramenti una signora che per vent’anni è stata con i Testimoni di Geova (lì sono molto forti, insieme a varie sette Protestanti). Battezzata, come il 96% dei messicani, in un momento di crisi si presenta alla porta della parrocchia, sapendo che i sacerdoti sono sempre pronti ad ascoltare. Davide le propone di partecipare alla Scuola di Comunità della parrocchia, e lei, dopo un po’, esprime il desiderio di ricevere i Sacramenti per vivere più compiutamente l’esperienza di fede che riconosce in quelli che incontra tutte le settimane. Io inizio a seguirla con il catechismo e dopo due mesi si presenta anche la figlia, Daniela, vent’anni. “Io vedo sempre che la mamma torna a casa contenta e voglio scoprire perché”. Così anche la figli comincia a seguire il catechismo e dopo qualche mese esprime anch’essa il desiderio dei sacramenti. Allo scopo di farle fare una esperienza più forte la invito a seguire anche il gruppo del CLU, anche perché la ragazza, a seguito del covid, si era isolata da amici e coetanei. Passano altri mesi e la ragazza afferma di aver trovato finalmente la casa che cercava da tanto tempo (come tanti altri giovani, questa ragazza era stata abbandonata dal padre da piccola e il padre, anche se cercato, si era sempre rifiutato di rivederla). Da allora la ragazza ha continuato a coinvolgersi in rapporti ed iniziative come la caritativa, ed è divenuta punto di riferimento anche per i più giovani.
Un’altra storia riguarda la signora che ci fa le pulizie in casa, proveniente da una situazione di indigenza, battezzata ma lontana dalla Chiesa, convivente con un uomo senza essere sposata. Negli anni ’90, in occasione di un viaggio di Giovanni Paolo II in Messico, le dicono che lui sarebbe passato vicino a casa loro. Le grandi autostrade a 5 corsie che attraversano la megalopoli erano tutte bloccate nell’attesa del passaggio del pontefice, per consentire alla gente di vederlo. Quando passa il papa la donna, insieme agli astanti, sente il bisogno fisico di inginocchiarsi. Per me è stato immediato ricordare i passi del Vangelo in cui la gente che incontrava Gesù si sentiva travolta da una forza irresistibile.
Per concludere vorrei dire che si vede che il Signore agisce in Messico attraverso persone piccole e semplici per continuare una storia di popolo che accoglie tanti. Il bisogno lì è grande, molte famiglie sono disastrate, e la comunità, la parrocchia, sono la possibilità concreta per tutti di trovare una casa. E questo è vero anche per me.
Arturo Alberti Tanti anni fa facemmo un convegno intitolato “Presenza cristiana e sviluppo”. Trenta anni dopo facemmo un altro convegno intitolato “Presenza cristiana è sviluppo”. Piccola ma significativa differenza.
ENRICO TIOZZO – LA CONFRATERNITA
Chiamiamo “Confraternita” il ritrovarsi insieme fra gente che fa opere sociali, lavora, si esprime nell’ambiente, e il cui scopo è aiutarsi a far memoria e tener vivo l’ideale per cui si vive e si lavora.
All’inizio Giussani chiamava le fraternità “confraternite”, e diceva che come l’uomo adulto è definito dal fatto che lavora, l’adulto cristiano è definito dall’ideale per cui lavora, e allora si mette insieme, si coagula, lì dov’è, con gli altri che hanno lo stesso ideale, perché questo ideale possa essere praticato, vivo, affermato nell’ambiente, e nascono dei luoghi, dei “coaguli”. Poi Giussani concludeva chiedendosi cosa sarà delle nostre costruzioni in campo sociale, economico, culturale, delle nostre opere, senza queste confraternite, senza questa amicizia, senza che questo ideale sia dentro la comunione con qualcuno, sia l’oggetto e il paragone di uno sguardo condiviso.
Allora nel tempo noi abbiamo detto, – ecco cos’è quest’amicizia che ci accade, è una confraternita – e questa dinamica, che poi è la Compagnia delle Opere, (ma a noi piace dare il nostro nome alle cose), l’abbiamo chiamata Confraternita, e l’abbiamo intitolata alla Patrona d’Italia, Santa Caterina da Siena. Lei esortava il papa a essere “ciò che doveva essere”; ecco, noi cerchiamo, attraverso questo continuo esporsi allo sguardo di qualcun altro, che valorizza e corregge, noi cerchiamo di aiutarci ad essere ciò che dobbiamo essere. Che cosa? Una presenza cristiana, cioè gente che porta una novità nell’ambiente, perché il rischio delle nostre opere è di farle per risolvere i problemi sociali, ma questi sono più grandi di noi. La vera novità è che, affrontando i problemi, si porti la novità che è il cristianesimo, cioè il fatto che c’è Chi li risolve, Chi soddisfa il bisogno di felicità che l’uomo ha.
La cosa è nata fra quattro amici, circa 25 anni fa, e poi c’è un po’ scappata di mano, quando, di fronte a problemi più grandi di noi, ci siamo ritrovati ad interpellare amici in giro per l’Italia. Il mio particolare impegno è una piccola opera a Ferrara dove aiutiamo i disoccupati, ma ormai siamo in giro per il mondo, Terra Santa, Armenia, Stati Uniti… Gente e culture diversi eppure tutti bisognosi della stessa cosa, e noi, poveracci, senza sapere le lingue, ci scopriamo portatori di ciò che il cuore dell’uomo desidera.
ALESSANDRO MILANESI – FRATERNITA’ SAN CARLO
Dopo un anno di missione a Madrid (dove padre Anas ha trascorso quindici anni della sua vita) mi chiedevo: Si può chiamare missione se si sta in Europa, Spagna, Madrid, la città più ricca di Spagna?
Arrivato in Spagna mi sono chiesto cosa porta un missionario cristiano: porta la presenza della Chiesa e quindi porta la cosa più importante che c’è, Cristo. Madrid ha tutto, gli spagnoli vivono bene e se la godono (forse come i romagnoli), non come noi a Milano che siamo molto più stressati, però è povera della cosa più importante, la fede, Cristo.
Anch’io posso raccontare una storia che illustra bene come anche noi europei aspettiamo Cristo. Ho conosciuto una ragazza a febbraio di quest’anno, che ho incontrato affranta in chiesa. Dopo quattro anni di fidanzamento il suo ragazzo si era tolto la vita davanti a lei, era disperata. Io rimango senza parole, profondamente scandalizzato dalla violenza che questa donna ha vissuto. La ragazza non frequentava una chiesa da dieci anni, e conduceva una vita senza senso. Nei mesi siamo diventati amici ed ho iniziato ad invitarla a venire in parrocchia e a Scuola di Comunità. Questo suo dolore è paradigmatico anche del vuoto di tanti ragazzi europei che hanno tutto ma non hanno niente, e un dolore come questo può risvegliare una domanda di senso che è lì come assopita. Ho visto come la mia presenza e quella degli altri amici cristiani ha letteralmente resuscitato questa ragazza. Dopo sei mesi posso assicurare che quel volto dapprima trasfigurato dal dolore era un volto letteralmente rinato, lieto, seppure ancora addolorato per il trauma subito. Ho visto come Cristo attraverso i (missionari) cristiani arriva a risanare i cuori e a risuscitare le persone, non solo in Africa o in Sud America.
Arturo Alberti Siamo qui perché, come dice Giussani, è giusto riconoscere la vita che c’è, e riconoscersi, anche in luoghi così diversi. Abbiamo in comune la passione che Cristo sia annunciato e sia un’occasione di salvezza per le persone che incontriamo. Il soggetto che noi amiamo è la Chiesa, e per questo continueremo a incontrarci.